L’Altipiano delle Onde Marine è una vasta area archeologica compresa tra la zona dei Grandi Tumuli e Campo della Fiera, esternamente al recinto della Necropoli della Banditaccia, dalla quale dista, in linea d’aria, qualche centinaio di metri. Il nome deriva da un piccolo ipogeo di età ellenistica (IV-III a.C.) rilevante per le sue pitture parietali, ancora in discreto stato di conservazione: uno stucco colorato di un rosso vivo riveste le pareti e il pilastro centrale, interrotto da un fregio stilizzato a ondulazioni.

L’area ospita importanti sepolcri che vanno dal VII al III a.C., distinguendosi architettonicamente in diverse tipologie che vanno dai Tumuli orientalizzanti, alle tombe cosiddette a “dado”, interrotte dai monumentali “cavoni” paralleli in cui sono alloggiati sepolcri di tipo a schiera, per passare ai grandi ipogei, caratteristici del periodo decadente ellenistico e romano.

Tra di essi spiccano per importanza la Tomba del Tablino, posta sul crinale prospicente il fosso del Manganello, risalente alla metà del VI sec. a.C., inserita in un “cubo” scavato nel banco tufaceo e completato con blocchi di muratura. Costituisce un esempio importante poiché risulta essere un’anticipazione della casa romana ad atrio, all’interno della quale è presente il “tablino” timpanato (l’ambiente principale della casa latina, posto di fronte all’atrio), composto da una finta porta intagliata al centro della parete di fondo e ai lati una cella con due letti funerari.

Mentre, al di là dello stradello che attraversa l’area, è situata la Tomba dei Pilastri, ipogeo risalente al IV sec. A.C., costituita da una grande camera centrale circondata da una banchina perimetrale in cui sono stati ricavati 21 alloggiamenti per altrettante inumazioni e 10 nicchie scavate nelle pareti di fondo; al centro del vano si innalzano due pilastri quadrati volti a reggere la volta. Strutturalmente il sepolcro è considerato gemello a quello della più famosa e nota tomba dei Rilievi, risalente allo stesso periodo, tanto da ipotizzare l’intervento della stessa mano nella sua progettazione. La tomba appartenne, se gli studi lo confermeranno, alla famiglia Coetia o dei Coeti, così come indicato dall’unica iscrizione (CVETHN) rinvenuta sull’angolo destro della parete di fondo, documentata sin dal 1845, anno della sua scoperta ad opera del marchese Gian Pietro Campana e studiata successivamente sia da Canina che da Dennis.